Storia della Musica.it - METROPOLIS


Peter Cincotti - Metropolis




di Giorgio Zito per Storia della Musica.it

Peter Cin­cot­ti, 29 anni, ame­ri­ca­no (New York) di evi­den­ti ori­gi­ni ita­lia­ne (nonni di Na­po­li e Pia­cen­za), tre di­schi di suc­ces­so alle spal­le, con­si­de­ra­to una delle pro­mes­se del jazz del nuovo se­co­lo (pre­mia­to a 17 anni al Fe­sti­val jazz di Mon­treux per l'in­ter­pre­ta­zio­ne di A night in Tu­ni­sia, a soli 19 anni rag­giun­ge il top della clas­si­fi­ca jazz di Bill­board), era at­te­so alla prova del nuovo cd, so­prat­tut­to dopo l’in­ter­lo­cu­to­rio East of Angel town, un disco in­te­ra­men­te co­sti­tui­to di brani au­to­gra­fi, in cui si al­lon­ta­na­va dagli stan­dards jazz con cui aveva ini­zia­to la car­rie­ra.
E il nuovo la­vo­ro, Me­tro­po­lis, pro­se­gue que­sta stra­da, nel ten­ta­ti­vo forse di smar­car­si pro­prio dal mar­chio di nuova pro­mes­sa del jazz, cer­can­do una stra­da au­to­no­ma e per­so­na­le. Ten­ta­ti­vo senza dub­bio co­rag­gio­so; d’al­tra parte per lui sa­reb­be stato molto sem­pli­ce rea­liz­za­re un nuovo cd di gran­di clas­si­ci per con­qui­sta­re il mer­ca­to. 
Me­tro­po­lis è però un disco riu­sci­to a metà, dove a brani dalle in­dub­bie qua­li­tà si al­ter­na­no altri molto de­bo­li, so­prat­tut­to per i suoni e gli ar­ran­gia­men­ti. Tra i mo­men­ti mi­glio­ri del disco, senza dub­bio Fo­re­ver And Al­ways, un brano  al­le­gro, sal­tel­lan­te, rit­ma­to, can­ta­to bene e suo­na­to al­tret­tan­to, si­tua­to da qual­che parte tra Billy Joel e Elton John. Ot­ti­mo anche No­thing's Enou­gh, che con la sua base funky e i ritmi quasi reg­gaeg­gian­ti, è il brano più ori­gi­na­le del disco. Buoni anche i brani più pop come Do Or Die, leg­ge­ro e di clas­se con un bel solo di piano, o Graf­fi­ti Wall, un mid tempo con am­bi­zio­ni da clas­si­fi­ca e heavy ro­ta­tion sul­l’air­play, al pari di World Gone Crazy, o an­co­ra Ma­gne­tic con i suoi ritmi pul­san­ti che si apro­no ad un ri­tor­nel­lo orec­chia­bi­le.
A que­sti brani fanno da con­tral­ta­re altri meno riu­sci­ti, come My Re­li­gion, se­pol­to da ton­nel­la­te di suoni anni ot­tan­ta, Ma­de­li­ne un lento con voce e piano a gui­da­re la prima stro­fa, non male in real­tà fino a che en­tra­no la bat­te­ria e i suoni finti del synth, e co­mun­que con un’ot­ti­ma pre­sta­zio­ne vo­ca­le di Cin­cot­ti. Stes­sa sorte tocca a Fit You Bet­ter, il brano più rock del disco, con suoni leg­ger­men­te meno pa­ti­na­ti, in cui però il ri­tor­nel­lo co­ra­le ed il synth ci ri­por­ta­no an­co­ra nei suoni mar­chia­ti anni ot­tan­ta. Anche la title track, Me­tro­po­lis, va­ga­men­te Muse nel cre­scen­do emo­zio­na­le, è se­pol­ta da archi cam­pio­na­ti e suoni sin­te­tiz­za­ti.
Di con­tro, si ap­prez­za­no i temi trat­ta­ti nelle li­ri­che del disco, in cui si in­da­ga la con­fu­sio­ne del­l’uo­mo mo­der­no nella me­tro­po­li con­tem­po­ra­nea, con i suoi lati po­si­ti­vi e ne­ga­ti­vi, sia per gli aspet­ti più so­cia­li che per quel­li più in­tro­spet­ti­vi.
Un disco che de­lu­de­rà chi è le­ga­to al Cin­cot­ti degli esor­di, e in­ve­ce pia­ce­rà agli aman­ti del pop, a chi dalla mu­si­ca non chie­de altro che un  po’ di svago di qua­li­tà, che co­mun­que non è poco; pia­ce­vo­le come una sor­sa­ta d’ac­qua fre­sca, che dis­se­ta ma non la­scia trac­cia. Cin­cot­ti si con­fer­ma con que­sto la­vo­ro un ot­ti­mo in­ter­pre­te ed un au­to­re co­rag­gio­so, che in­ve­ce di fare il com­pi­ti­no con i clas­si­ci del jazz, ha de­ci­so di pro­va­re a cre­sce­re, cer­can­do stra­de nuove, ma­ga­ri sba­glian­do. Ma ha tutto il tempo e le qua­li­tà ar­ti­sti­che per met­te­re a fuoco la mira. 

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